Chi sono le “povere creature”? Quelle incapaci di adattarsi alle regole della buona società, di assecondare luoghi comuni, movenze, sorrisi e banchetti scanditi da momenti di ordinaria e monotona normalità? Sono le “marionette di legno” di Pirandello “sulle cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi”? O forse, “povere creature” impossibilitate a una rivalsa o, semplicemente, a una boccata di ossigeno e di libertà sono quelle ingabbiate da regole, dogmi e buone maniere in cui un Socrate qualunque si domanderebbe “buone per chi?” se la conoscenza del buono non è che relativa? C’è tanta filosofia, bellezza, comicità e libertà in Poor Things, film distribuito dalla Disney, diretto da Yorgos Lanthimos con Emma Store, Mark Ruffalo, Willem Dafoe, Ramy Youssef e Jerrod Carmichael, riadattamento cinematografico dell’omonimo romanza del 1992 di Alasdair Gray.
Vincitore del Leone d’oro a Venezia e del Golden Globe come miglior film e migliore attrice, candidato a 11 premi oscar, Povere Creature narra le sorti di una moderna Prometeo, una Frankenstein gotico-vittoriana che, dopo un tentato suicidio, viene salvata dall’eccentrico chirurgo Godwin Baxter che le ridona la vita trapiantandole il cervello del figlio che portava in grembo. La tabula rasa di un neonato, nel cranio di Bella Baxter, una donna adulta, genera curiosità, istinto, volontà e ribellione a tutta quella serie di costrutti sistemici che la società dei benpensanti impone alla protagonista. Fuggita dal castello incantato costruitole ad hoc dal suo “creatore” (quel luogo perfetto e “in bianco e nero” dove niente di male può accaderle… o forse proprio niente), Bella si ritroverà a scoprire i “colori”, i piaceri della vita, della carne, del nutrimento fisico e psichico dove, più che gli uomini o le donne lungo il suo cammino, saranno i pensieri, le dottrine, “l’amore per il sapere” che daranno alla protagonista un grandissimo slancio verso il nuovo, in una bulimia di luci, vestiti, città, conoscenze, atti sessuali ai quali lei non saprà sottrarsi, mai paga di quell’edonismo tanto additato dalla morale di cui lei non sente minimamente bisogno. Il suo percorso di crescita la porterà a scoprire il cinismo (magnifico il riferimento all’aneddoto tra Diogene il cinico e Alessandro Magno quando, interpellata dal suo amante Duncan Wedderburn, sulla sdraio di una nave, Bella risponderà “Spostati che mi togli il sole!”) e a turbare la sua fede nella scienza e nel progresso, nell’ottimismo che tutto può risolvere in balia di una conoscenza che sa di libertà, sarà la visione dell’altra faccia della società. Quella povera, affamata, incapace di reagire o di progredire, tagliata fuori da scale sociali alle quali non si può, più fisicamente che metaforicamente, accedere. Di fronte alla verità, la voglia di scoperta diventa più forte e di verità, Bella, ne pretende e conquista di nuove. Rientrata nella casa natale (attirata da un telegramma che le anticipa la malattia terminale di Godwin Baxter) la protagonista conoscerà le sue origini, l’uomo da cui scappava attraverso il tentato suicidio e riscriverà il suo finale. In un prodotto cinematografico che evoca continuamente il patriarcato, Bella compie una rivoluzione che spezza qualsiasi tentativo di cattura nei più tradizionali dispositivi di asservimento della donna, e si fa regista della sua vita.
Il film è ritmo allo stato puro (con una colonna sonora che stona e accompagna ogni singolo passaggio, sguardo o cambiamento in atto), è comicità, è una vera e propria opera d’arte con riferimenti alla pittura di Hyeronimus Bosch negli insoliti accostamenti degli animali che scorrazzano per i corridoi e i giardini di casa Baxter, ai quadri di Francis Bacon nei lineamenti perturbanti di Godwin (le cui cicatrici raccontano il folle ardimento scientifico del padre), a “La colazione sull’erba” di Manet, nella prima uscita pubblica di Bella. Al contempo, vi troverete performance attoriali ai massimi livelli con una Emma Stone in stato di grazia capace di essere, al contempo, istinto puro (nelle movenze da neonata riottosa a inizio film come in quelle da moderna All Blacks, nel ballo sulla nave), e razionalità disarmante, capace di mantenere la stessa identica espressione di insofferenza nei confronti di quel genere maschile a cui affida un finto tutoraggio, in un rovesciamento delle gerarchie sessuali e di genere, in cui il maschile si ritrova in perenne scacco rispetto al femminile, capace di scriversi da sé e solo da sé.